La fotografia paesaggistica è spesso vista come un semplice atto tecnico: trovare la luce giusta, scegliere l’angolazione e scattare. Che ci vuole? Si dice, è tutto lì davanti, uno scatto e via.

Ma per me fotografare un paesaggio non è solo questione di catturare una scena esteticamente piacevole, è un processo che richiede tempo e, soprattutto, una connessione profonda con il luogo.

Ogni paesaggio ha la sua anima, il suo “genius loci”, che non si svela subito. Serve fermarsi, osservare, respirare e ascoltare. Il tempo, non solo quello di scatto, è il vero alleato del fotografo.

Spesso mi ritrovo sulla costa nord-ovest della Sardegna, con il maestrale che soffia potente e le onde che si infrangono contro le rocce. È una situazione che mi affascina e mi chiama e so che per coglierne l’essenza non basta semplicemente scattare, c’è un momento in cui il luogo mi “parla”, e mi trovo a sentire la sua energia e i suoi ritmi e così entro a far parte delle storie di quel luogo.

Prendersi del tempo per entrare in sintonia con il paesaggio permette di creare immagini che non sono solo belle, ma anche autentiche. La luce giusta arriva quando si è disposti ad aspettarla, e la sensazione che un luogo trasmette può cambiare in un istante, ed ecco che la fotografia diventa un dialogo tra il fotografo e la natura, una danza che si svolge davanti ai miei occhi. Ogni immagine non è solo il riflesso del luogo, ma anche di ciò che io ho sentito e vissuto in quel momento.

È questo, il richiamo e il potere che la fotografia di paesaggio esercita su di me. E allora non è semplicemente “scattare una bella foto”. È catturare l’essenza del luogo, la sua anima e portarne poi un poco con me.

Tempo, pazienza e rispetto sono gli ingredienti delle mie immagini.